Giuliana – Rayan
Paese: Brasile
Tipi di foreste: Foresta Amazzonica
Problemi: Gli allevatori e gli agricoltori, disboscando la foresta e bruciano i detriti per far posto a coltivazioni e bestiame.
La deforestazione è la principale causa che minaccia la sopravvivenza del polmone verde del nostro Pianeta: solo nel territorio brasiliano stiamo perdendo una superficie di foresta pluviale equivalente a oltre tre campi da calcio al minuto.
Storicamente in questa regione una delle tecniche utilizzate per espandere le aree per le coltivazioni, gli allevamenti e le miniere è l’utilizzo del fuoco. La tecnica si chiama “slash and burn”, taglia e brucia e procede ettaro dopo ettaro poiché, eliminata la foresta, i terreni restano argillosi, vengono dilavati dalla pioggia e diventano rapidamente sterili per le coltivazioni. Inoltre, l’utilizzo del fuoco provoca enormi incendi, difficilmente gestibili, che si estendono su enormi superfici per mesi.
Secondo l’Istituto nazionale di ricerche spaziali del Brasile (INPE) nell’ultimo anno gli incendi in Brasile sono aumentati dell’ 83%, registrando oltre 73.000 roghi in tutta la foresta amazzonica.
Per approfondire:
La foresta amazzonica potrebbe essere vicina a un punto di non ritorno
Eliana
La deforestazione del Congo: Per decenni questo polmone verde è riuscito a tenere duro, ma la situazione sta precipitando in fretta. La Repubblica Democratica del Congo al secondo posto, dopo il Brasile, nella classifica della deforestazione stilata dal Global forest watch. Più di 490 mila gli ettari di foresta primaria umida tropicale andata distrutta nel corso di un solo anno, il 2020. Tra le cause prevalenti, soprattutto l’espansione delle aree agricole e il fabbisogno di legname per l’energia.
In barba alla pandemia di Covid-19 e ai rischi di contagio dagli animali selvatici, in Repubblica democratica del Congo è boom di caccia alla carne di scimmia, antilopi, pangolini e porcospini. Lo riferisce il quotidiano francese Le Monde in un reportage nelle foreste dell’Ituri, provincia nord-orientale, habitat di molte specie a rischio estinzione a causa dell’intensificarsi del bracconaggio, della deforestazione e della crescente richiesta di questi tipi di carne.
Secondo stime del Fondo mondiale della natura (Wwf), ogni anno 3 milioni di tonnellate di selvaggina vengono prelevati nella foresta congolese per alimentare il commercio illegale. Un altro quantitativo significativo viene consumato dai residenti nelle zone forestali e ancora di più nelle città, dove la carne è venduta nei mercati senza alcun controllo veterinario.
Nelle ultime settimane il sospetto di possibile trasmissione del Sars-Cov-2 dall’animale all’uomo è ricaduto sul pangolino, una delle specie cacciate nelle foreste congolesi, ma secondo i virologi il tasso di identità tra le sequenze del virus e quelle del pangolino raggiunge il 90,3%. “Un tasso inferiore rispetto a quelli abitualmente osservati tra i ceppi che infettano l’uomo e quelle che infettano l’ospite intermedio” ha spiegato il virologo Etienne Decroly, specialista dei virus emergenti al Cnr di Marsiglia, in Francia.
In condizioni di sempre maggiore promiscuità tra l’uomo, l’habitat e le specie animali, sempre più invasi, sfruttati, deturpati, il rischio di trasmissione di patologie rimane elevato. Del resto la storia dei virus in Africa lo ha già insegnato, sia con l’Hiv – che sarebbe stato trasmesso col sangue dopo che un cacciatore si fosse ferito tagliando carne infetta nella foresta del bacino congolese – che con il virus di Ebola, veicolato nei liquidi corporei. “Ciononostante i congolesi dicono di non avere paura di ammalarsi se mangiano carne cacciata nella giungla.
Non credono che possano trasmettere malattie anche se questa carne arriva in città in modo informale e viene venduta senza alcun controllo dei veterinari” ha confermato da Kinshasa Karen Saylors, antropologa Usa che da mesi studi la trasmissione delle malattie dalla selvaggina all’uomo. A documentare il boom della deforestazione e la caccia intensiva è l’ultimo Rapporto pianeta vivente del Fondo mondiale per la natura, uscito lo scorso settembre.
In Africa negli ultimi 50 anni le popolazioni di animali selvatici sono crollate del 65%. Nel solo bacino del fiume Congo ogni anno tra 5 e 10 milioni di tonnellate di carne vengono prelevate. Elefanti, rinoceronti, scimmie, okapi e altre specie rischiano l’estinzione. Il fabbisogno alimentare è cresciuto di pari passo con la pressione demografica, sempre più forte: in 80 anni la popolazione congolese è decuplicata, da 10 milioni nel 1940 a 100 milioni oggi, mentre nei villaggi una donna partorisce in media sei figli.
Lo sfruttamento minerario e delle foreste ha anche contribuito ad aumentare la densità di popolazione oltre al tracciato di nuove piste e al disboscamento che hanno accelerato la distruzione degli habitat naturali. Il presidente Félix Tshisekedi, al potere da gennaio 2019, intende sviluppare il settore agricolo, l’allevamento e la pesca, e per farlo la scorsa estate ha lanciato un maxi piano strategico per il 2020-2022.
Sebastiano
Il 5 giugno si celebra, come ormai ogni anno dal 1974, la Giornata mondiale dell’ambiente, una ricorrenza istituita dall’ONU in occasione della Conferenza sull’ambiente umano tenutasi a Stoccolma nel 1972. Come suggerisce il nome, è una giornata creata per sensibilizzare sui problemi ambientali del pianeta e soprattutto per incoraggiare all’azione, e la sua importanza è cresciuta a dismisura con gli anni man mano che abbiamo capito la portata della crisi climatica che stiamo vivendo, e che segnerà irrimediabilmente i prossimi decenni.
A VOLTE NON BASTA. Ormai conosciamo bene quali sono i nostri obiettivi: ridurre le emissioni di gas serra fino ad arrivare, idealmente, allo “zero netto” entro il 2050.
Augusto
Almeno il 50% del territorio ricavato dalla deforestazione globale viene usato per l’agricoltura.
Nell’arco di trent’anni la foresta pluviale del Borneo malese si è diminuita dell’80% a causa della deforestazione. Secondo una stima ottimistica rimangono intatti 45.400 km quadrati di ecosistemi forestali.
Ormai nel Borneo rimangono intatte solo piccole aree di foresta, perché il resto è stato pesantemente deforestato per produrre legname e olio di palma.
Per questo si perdono anche molti habitat naturali, ad esempio quello dell orangotango che viene allontanato dalle palme da olio di cui si nutre dei suoi frutti.
Emma e Giulia
La deforestazione è un problema attuale ed indica l’eliminazione di alberi in un’area boschiva o forestale. Infatti ogni 5 secondi sparisce un pezzo di foresta grande come un campo da calcio. Come sappiamo, nel mondo ci sono cinque grandi tipi di foreste e ognuna di queste ha cinque problemi diversi legati alla deforestazione. Per esempio nella foresta di Mangrovie (fatta di acqua) in Asia e in Sudamerica, si tagliano gli alberi per l’allevamento di gamberi. Tra il 1980 e il 2013 è sparito il 47% della foresta che c’era una volta. L’acqua ha preso il posto delle foreste e questo ha portato a inondazioni e a una grande perdita di terreno lungo la costa. Per porre rimedio a tutto ciò, ognuno di noi dovrebbe impegnarsi a realizzare progetti di riforestazione come la giornata degli alberi.
Giuditta, Milena, Elenora
Avviene in cinque paesi principali: Siberia, Borneo, Canada, Messico e Amazzonia.
I tipi di foreste sono:
1. foresta equatoriale
2. foresta tropicale
3. foresta mediterranea
4. foresta boreale
5. foresta australe
Ci sono delle conseguenze per la deforestazione:
1. la modifica o la perdita degli habitat
2. il sovrasfruttamento delle risorse
3. i cambiamenti climatici
4. le malattie
5. l’inquinamento
Per approfondimenti:
Deforestazione: cause e conseguenze
Alessio
La tundra potrebbe sparire nel corso di questo millennio: per la Giornata mondiale dell’ambiente diamo uno sguardo a un ecosistema sempre più a rischio. Il 5 giugno si celebra, come ormai ogni anno dal 1974, la Giornata mondiale dell’ambiente, una ricorrenza istituita dall’ONU in occasione della Conferenza sull’ambiente umano tenutasi a Stoccolma nel 1972. Come suggerisce il nome, è una giornata creata per sensibilizzare sui problemi ambientali del pianeta e soprattutto per incoraggiare all’azione, e la sua importanza è cresciuta a dismisura con gli anni – man mano che abbiamo capito la portata della crisi climatica che stiamo vivendo, e che segnerà irrimediabilmente i prossimi decenni. La tundra è un bioma unico, presente solo nell’emisfero boreale a latitudini sub polari, e “schiacciata” a nord dagli ambienti polari veri e propri e a sud dalle foreste. La tundra è anche uno degli ambienti che più di tutti sta subendo gli effetti del riscaldamento globale: nelle regioni polari e subpolari la temperatura si sta alzando più rapidamente che nel resto del pianeta, e negli ultimi cinquant’anni la temperatura media della tundra si è alzata di circa due gradi (che rischiano di diventare addirittura 14 entro il 2100). Il team tedesco ha provato a simulare che cosa succederà nei prossimi secoli se la situazione non dovesse cambiare, concentrandosi in particolare sulla tundra del nord est della Russia, “assediata” a sud dalle foreste di larici. Foreste che, sempre a causa dell’aumento delle temperature, stanno a loro volta spostandosi verso nord in cerca di zone più fresche: man mano che invadono il territorio che oggi è tundra lo “colonizzano”, trasformandolo in foresta ed eliminando così la biodiversità specifica del bioma originario.
Denis
IN TRENTINO NEL 2018 CI HA COLPITO LA tempesta Vaia che ha distrutto alberi e boschi che nella provincia ricoprono una superficie di 390.463 ettari, pari al 63% del territorio provinciale.
I tipi di bosco più rappresentati in termini di superficie sono:
abete rosso (32%),
faggio (14%),
larice (13 %)
abete bianco (11%)
La tempesta Vaia è stato un evento meteorologico estremo che ha interessato il nord-est italiano (in particolare l’area montana delle Dolomiti e delle Prealpi Venete) dal 26 al 30 ottobre 2018. L’evento si è originato a seguito di una perturbazione di origine atlantica che, nel quadro di una forte ondata di maltempo sull’Italia (interessando anche le vicine regioni di Svizzera, Austria e Slovenia), ha portato sulla regione vento fortissimo e piogge persistenti.
Il fortissimo vento caldo di scirocco, soffiando tra i 100 e i 200 km/h per diverse ore, ha provocato la caduta di milioni di alberi, con la conseguente distruzione di decine di migliaia di ettari di foreste alpine di conifere, configurandosi dunque come un vero e proprio disastro naturale
ora molte aziende boschive lavorano per ripulire i boschi.
La tempesta Vaia, oltre a provocare ingenti danni diretti, ha creato le condizioni per la diffusione del bostrico, un piccolo coleottero presente naturalmente nei boschi di abete rosso dell’arco alpino.
La presenza di grandi quantitativi di piante danneggiate disperse nei boschi ha permesso alle popolazioni di bostrico di passare da una presenza endemica ad una presenza epidemica, destinata a durare qualche anno. In previsione di tale pullulazione, che si verifica regolarmente dopo estesi danneggiamenti dei boschi per schianti da vento o da neve, la provincia di Trento subito dopo la tempesta Vaia aveva attivato un sistema esteso di monitoraggio delle popolazioni dell’insetto, in collaborazione con la Fondazione Mach.